Bitcoin e criptovalute: il TAR Lazio si pronuncia sull’imposizione fiscale della moneta elettronica
“Il trattamento fiscale dell’utilizzo delle criptovalute opera in forza della natura delle operazioni poste in essere mediante detti valori (oltre che, naturalmente, in base alla natura dei soggetti utilizzatori e delle relative attività, imprenditoriali o meno), laddove (e nella misura in cui) detto utilizzo generi materia imponibile”.
Così il TAR Lazio, sede di Roma, con la recente sentenza n. 1077/2020 dichiara la legittimità dell’obbligo imposto dall’Agenzia delle Entrate di inserire “nel quadro RW, tra i redditi finanziari di provenienza estera, anche le valute virtuali” con la conseguente imposizione fiscale delle stesse.
La sentenza desta un certo interesse per la novità della materia trattata. Il ricorso è stato presentato da associazioni per la diffusione della tecnologia “blockchain”, direttamente interessate per l’incidenza che una limitazione sul regime delle valute virtuali riflette sull’utilizzo di tale tecnologia.
I giudici amministrativi hanno ammesso la legittimità del monitoraggio dell’utilizzo delle valute virtuali e dei relativi mezzi di pagamento, da cui deriva la necessità e l’obbligo, al monitoraggio stesso finalizzato, di “dichiarare” tali valute nel modello unico ed in particolare nel quadro RW.
Gli stessi giudici, ammesso il “livello solo iniziale” della produzione giurisprudenziale sul punto, qualificano le “rappresentazioni digitali di valore” nei due orientamenti finora proposti, quello che le qualifica “beni immateriali ex art. 810 c.c.” e quello che le riconduce “alla categoria degli strumenti finanziari”.
In ogni caso, presa la nozione di “valuta virtuale” di cui all’art. 1 comma 2 let. qq d.lgs. 231/2007 la moneta elettronica è qualificabile non solo come mezzo di scambio ma contempla espressamente la possibilità che tramite il suo impiego si compiano operazioni di acquisto beni e servizi oppure finalità di investimento, recependo quella caratteristica duttile delle rappresentazioni digitali di valori sopra richiamata. Da ciò consegue una definizione che i giudici chiamano “funzionale” delle stesse “che impone di ricondurre alle pertinenti forme (esistenti) di tassazione non già il mero possesso di valute virtuali in quanto tali, bensì il loro impiego e la loro utilizzazione entro il novero delle diverse operazioni possibili, coerentemente con la loro natura effettiva che è – per l’appunto – “rappresentativa di valori” (sia pure scaturente da un riconoscimento pattizio e volontario dei soggetti che le utilizzano), che, a loro volta, sono costituiti da utilità economiche e giuridiche come tali valutabili e pertinenti al patrimonio del soggetto titolare, quindi espressivi di capacità contributiva”.
Quanto appena affermato, per i giudici amministrativi era già parte della disciplina generale prima dei provvedimenti impugnati dalle associazioni (quindi meramente ricognitivi ), sicché, le doglianze da queste nel merito addotte potranno essere fatte valere nel singolo rapporto di imposta, ma non in via generale.
Per tutte le ragioni qui brevemente riassunte, come è evidente, il TAR Lazio ha respinto i ricorsi, disponendo altresì una rilevante condanna alle spese.