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CASO CALCIO SCOMMESSE: RUSCIANO (ASTRO) << IL RIORDINO È L’OCCASIONE PER PIANIFICARE SOLUZIONI MODERNE CONTRO LUDOPATIA E GIOCO ILLEGALE>>

26 Ottobre 2023

Le cronache di questi ultimi giorni sul coinvolgimento di alcuni calciatori professionisti nelle scommesse illegali hanno aperto uno squarcio nella comune percezione del rapporto tra gioco legale e gioco illegale che impone ineludibili riflessioni, soprattutto a chi opera all’interno del comparto del gioco lecito.

Ciò che balza subito agli occhi sono sicuramente le caratteristiche e le modalità operative che caratterizzano il sistema con cui sono entrati in contatto i protagonisti della vicenda.

Non si tratta di portali riconducibili a società aventi sede in Paesi UE o comunque in ordinamenti giuridici avanzati (come, ad esempio, il Regno Unito) che operano in Italia senza la regolare licenza ma che, nonostante questa deprecabile violazione della nostra normativa, sono comunque in grado di garantire la tracciabilità dei flussi finanziari e un sufficiente grado di affidabilità nei confronti degli utenti. No, il contesto ambientale in cui sembra che queste vicende si siano svolte si caratterizza, piuttosto, per l’utilizzo di siti internet (aventi sede in Paesi i cui ordinamenti sono privi di qualsiasi normativa di prevenzione del riciclaggio) dietro ai quali si muovono vere e proprie organizzazioni criminali, con diramazioni presenti anche in Italia, che agiscono attraverso veri e propri “agenti di zona” che operano sul territorio, entrando in contatto diretto con i singoli scommettitori, e che non rappresentano certo una garanzia di sicurezza e affidabilità (non a caso, dalla vicenda che riguarda uno dei giocatori di Serie A coinvolti emergono anche episodi legati a minacce e ritorsioni nei suoi confronti).

Uno degli aspetti su cui andrebbe focalizzata l’attenzione è quindi rappresentato dal muoversi dei protagonisti di queste vicende tra loschi personaggi che popolano ambienti che ricordano i retrobottega delle vecchie (e nuove) bische clandestine.

I contorni di queste realtà, pur con le dinamiche legate al diverso livello di evoluzione tecnologica, erano ben presenti al legislatore quando, nei primi anni 2000, decise -attraverso la legalizzazione del gioco- di imprimere una svolta rilevante nell’approccio dello Stato con il fenomeno del gioco. Da questa consapevolezza prese, appunto, le mosse quel processo di legalizzazione del gioco che ha consentito al nostro Paese di avere oggi un sistema di regolamentazione e controlli che non ha pari in nessun altro Paese al mondo.

Neanche gli stessi promotori della legalizzazione hanno mai pensato che la costruzione di un sistema regolamentato sarebbe stata sufficiente a debellare totalmente i fenomeni come quelli a cui stiamo assistendo ma hanno avuto senz’altro il grande merito – forti della consapevolezza che la domanda di gioco esiste dalla notte dei tempi ed è pressoché anelastica – di offrire ai giocatori l’opportunità di poter usufruire di un prodotto garantito e regolamentato che, tra l’altro, ha consentito allo Stato di sottrarre miliardi di euro alla criminalità.

Nonostante ciò, le ragioni ispiratrici di quella scelta illuminata sono andate sfumandosi nel corso degli ultimi anni sotto il fuoco di un rigurgito delegittimante di impronta proibizionista.

Difronte ad un problema di primaria importanza qual è quello della ludopatia si è fatto credere che la sua soluzione consistesse nello smantellamento di quel sistema del gioco pubblico legale faticosamente costruito negli ultimi due decenni.

Seguendo questa cieca visione si è quindi diffuso nel Paese un movimento d’opinione che si sta spingendo finanche nella direzione di far apparire sfumati i confini tra il gioco legale e quello illegale attraverso l’inoculazione di un messaggio che continua ad offrire una rappresentazione del rapporto tra mercato illegale e mercato legale come due facce della stessa medaglia.

Lo scopo è, ovviamente, quello di alimentare un processo di delegittimazione del gioco legale attraverso il disconoscimento del suo ruolo di argine contro gli appetiti della criminalità verso il mercato del gioco.

Una visione velleitaria che, come dimostrano proprio i recenti fatti di cronaca, non tiene conto della natura anelastica della domanda di gioco: se si annienta o si indebolisce l’offerta legale, la domanda si sposta verso i canali illegali che, come dimostrano i fatti in esame, non sono gestiti da pochi e maldestri furbi che mirano ad aumentare i propri guadagni violando o eludendo qualche prescrizione amministrativa ma sono gestiti da vere e proprie organizzazioni criminali.

Il sistema del gioco pubblico legale si caratterizza per una fitta rete di controlli e la previsione di rigidi requisiti d’accesso che non ha pari in nessun altro settore economico del Paese, finalizzati proprio ad arginare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose.

Se si tiene conto, inoltre, delle severe regole di tracciabilità dei flussi finanziari, della previsione di un importo complessivo minimo della raccolta da destinare alle vincite, dell’elevata imposizione fiscale e di tutta un’altra serie di oneri posti a carico delle imprese del gioco legale, diviene facile comprendere come, a differenza che per altri settori economici, per le mafie sia sicuramente molto più conveniente gestire il gioco al di fuori dei confini tracciato dal sistema del gioco pubblico legale piuttosto che infiltrarsi nella gestione delle imprese che operano al suo interno (e i recenti fatti di cronaca lo dimostrano con disarmante evidenza).

Parliamo di fenomeni che sono balzati agli onori delle cronache soltanto perché risultano coinvolti dei noti giocatori di serie A ma della cui esistenza gli addetti ai lavori e gli organi di controllo sono da sempre consapevoli.

La speranza è che tutto questo risulti almeno utile per far prendere nuovamente consapevolezza alla politica, ma anche all’opinione pubblica, di quanto sia velleitario, oltre che pericoloso per l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, assecondare l’orientamento di chi vede nel sacrificio del gioco legale la soluzione per debellare la ludopatia.

Anzi, gli stessi episodi di cui stiamo parlando rafforzano ancora di più la convinzione che il problema della ludopatia possa essere affrontato solo all’interno del sistema del gioco pubblico legale: attraverso il suo rafforzamento anziché, come fin qui propugnato dai “crociati” dell’”anti gioco” (legale), attraverso il suo smantellamento.

E questo non vale soltanto per il gioco online ma riguarda anche quello fisico.

Difronte ai recenti fatti di cronaca ma anche al cospetto della consapevolezza dell’epoca che stiamo vivendo – contrassegnata dall’avvento, per certi versi prepotente, di un mondo digitale privo di filtri e confini, tra le cui implicazioni è, peraltro, correlata l’insorgenza di nuove, subdole forme di dipendenza – l’idea che la ludopatia possa essere risolta facendo chiudere una sala giochi o una sala scommesse perché si trova a 499 metri (anziché a 501) da un cimitero, da una chiesa o da una stazione ferroviaria, appare quantomeno anacronistica.

Questo nuovo scandalo ci suggerisce quanto sia improcrastinabile l’esigenza che il legislatore la smetta di perseverare nel tentativo di retrocedere nel processo di legalizzazione avviato nei primi anni 2000 per sedersi, invece, intorno ad un tavolo -quello del riordino- insieme agli operatori del gioco legale con lo scopo di rinnovare l’intero sistema del gioco legale per renderlo all’altezza della sfida contro le organizzazioni criminali e per pianificare moderne soluzioni realmente efficaci per prevenire i fenomeni di dipendenza da gioco.

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